Solo l’adesione compatta e cosciente alle iniziative che intraprendono le nostre Rappresentanze può assicurare la tutela dei nostri diritti e, soprattutto, la protezione della nostra dignità.
Facciamo il punto sulle pensioni.
Sui tagli e le iniziative di tutela avviate.
Anche AZIONE PENSIONATI ha svolto un ruolo fondamentale con Federmanager e Cida quando le forze politiche, poi di Governo, hanno messo in moto la propaganda di discredito e delegittimazione contro i pensionati. Cui hanno fatto seguito, poi, i tagli alle pensioni. Il contrasto messo in atto dalle nostre Rappresentanze ha potuto solo contenere i danni. Troppe erano le forze incitate contro.
Il percorso legislativo
Il 6 agosto 2018 fu presentata la proposta di legge n. AC. 1071: “Disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale attraverso il ricalcolo, secondo il metodo contributivo, dei trattamenti pensionistici superiori a 4.500 euro mensili“. Appariva accattivante il titolo. Ma nascondeva un’insidia grave: se approvata, la legge avrebbe sconvolto l’intero sistema previdenziale. Il ricalcolo sarebbe avvenuto in conformità a nuovi criteri: i trattamenti attribuiti con le leggi vigenti all’epoca del collocamento in pensioni sarebbero stati ricostruiti sulla base di nuovi calcoli attuariali, nuovi parametri riduttivi, con valore retroattivo. Molte pensioni avrebbero subito tagli enormi. Ma, soprattutto, si sarebbe aperta una falla nel nostro ordinamento, capace di travalicare principi fondamentali della nostra convivenza civile e democratica. Principi alti, come la certezza del diritto e l’affidamento del cittadino nelle leggi dello Stato. La ferma apposizione , e la dimostrazione, anche durante le audizioni parlamentari, della manifesta illegittimità e impraticabilità tecnica dell’operazione (irreperibilità dei dati necessari, soprattutto per le prestazioni che datano più lontane negli anni) bloccò la proposta che fu ritirata il 3 luglio 2018. Ma il treno della propaganda era ormai lanciato e, sebbene dirottato su binari apparentemente meno rischiosi, alla fine ha depositato, il 30 dicembre 2018, la legge n. 145, dove le misure riduttive delle pensioni sono nei commi 260-268 che contengono un surrogato della proposta di ricalcolo sopra citata. Come tale, nella valutazione dei proponenti, dovrebbe superare più facilmente le censure della Corte costituzionale. Ma anche così, a nostro avviso, le nuove disposizioni presentano elementi d’illegittimità. Gli esperti diranno meglio: se e perché.
Due misure riduttive
Una immette nel sistema un nuovo meccanismo di perequazione (comma 260); l’altra riduce la pensione alla base (comma 261). Due misure che incidono in maniera diversa sulle prestazioni, ma che sono legate da un filo conduttore comune: la ripetitività. Vengono da lontano. Ormai è questa la loro connotazione critica. Si ritrovano continuamente a ogni successione di legislatura. Come se ogni nuova compagine governativa fosse chiamata ad adempiere a un rito sacrificale emblematico: colpire la categoria sociale presentata come “privilegiata”, sempre la stessa: i pensionati. Peraltro denunciati come beneficiari di prestazioni in tutto in parte non guadagnate. Inutile ogni prova oggettiva che dimostra il contrario. La variante conferma una percezione ormai diffusa: l’incertezza è il codice che regola le pensioni. Continuamente sotto minaccia di nuovi tagli. Ogni volta motivazioni nuove, al limite della legittimità costituzionale. E, per questo, una categoria sociale in permanente inquietudine. Gli esempi seguono.
Sulla perequazione
Mentre il Governo disponeva la manovra triennale 2019-2021, niente faceva intuire che ci sarebbe stato un nuovo intervento riduttivo della perequazione. Anzi, secondo preventivi accordi con le organizzazioni sindacali, dal 1 gennaio 2019 sarebbe stato applicato nuovamente il meccanismo più favorevole rispetto a quello utilizzato negli ultimi anni. Sarebbe stato applicato quello a tre “scaglioni”, come previsto dalla legge 388/2000: 100%, 90%, 75%. Era già predisposto e funzionante. Ma ad un tratto il Governo, nel predisporre la manovra triennale 2019-2021, sente incombere una procedura d’infrazione da parte della Commissione UE per deficit eccessivo. Corre ai ripari. In tutta fretta ecco un nuovo meccanismo di perequazione. Aliquote più penalizzanti. Il deficit/PIL è portato al 2,04%. L’equilibrio finanziario alla manovra di bilancio triennale 2019-2021 è assicurato. Pagano i pensionati. Un comportamento politico nel segno della continuità, ma questa volta, a freddo, senza neppure un minimo di dibattito, di preavviso. Tagli e basta. Solo le pensioni fino a tre volte il minimo (poco più di 1.500 euro/mese) ormai godono di tutela. Per il resto le pensioni costituiscono il bancomat, a portata di mano dei Governi che si succedono, per fronteggiare ogni emergenza finanziaria dello Stato. Operazione facile, immediata, con modesto rischio di reazione. Un atteggiamento che non può non destare apprensione.
Detto questo, ribadiamo un concetto che da sempre sosteniamo: l’applicazione della perequazione delle pensioni, per ovvie ragioni economiche, è legato anche alla sua sostenibilità fiscale. Ne conveniamo. Quello che non convince, però, è perché a fronteggiare le emergenze finanziarie, che ormai rappresentano una costante del pubblico bilancio, siano chiamati sempre e solo i pensionati, come “capro espiatorio” su cui scaricare le diseguaglianze economiche e sociali. Continui provvedimenti riduttivi delle pensioni. Indenni restano, invece, redditi equivalenti di altre categorie sociali. Che tutti paghino le tasse! E’ l’annuncio di ogni programma di governo. Il “mantra” suona come una campana stonata.
Da parte nostra, vale la pena ripetere il più volte richiamato monito della giurisprudenza costituzionale: … la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità … perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta (Corte Cost. Sent. n. 316/2010).
Non contestiamo il singolo provvedimento sospensivo o restrittivo della perequazione. Contestiamo l’altra cosa: la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo (il sistema perequativo n.d.r.). Perché i provvedimenti sospensivi o riduttivi della perequazione sono devastanti. Moltiplicano gli effetti di trascinamento anno su anno, vita natural durante del pensionato e si ripercuotono sugli aventi diritto alla reversibilità. Tanto per memoria, e senza contare quelli precedenti, vale la pena ricordare che i provvedimenti che incidono negativamente sulla perequazione, in continuità, anno su anno, prendono inizio nel 2012. E ora, con la legge n.145 (comma 260), proseguiranno fino al 2021. Dieci anni.
Sulla riduzione della base della pensione
Non meno inquietante è l’altra operazione, quella che “riduce”, per cinque anni, con un’aliquota di riduzione progressiva crescente i trattamenti pensionistici superiori a 100mila euro lordi. (Esclusi quelli attribuiti interamente con il sistema contributivo, la riduzione colpisce trattamenti con almeno una quota retributiva). Impropriamente questa riduzione viene definita “contributo di solidarietà”. Diversamente dai precedenti (6 prelievi, dal 2000 al 2017) che venivano denominati esplicitamente “contributi di solidarietà” e avevano chiare finalità solidaristiche, questa volta (settimo prelievo, dal 2019 al 2023) i soldi che si risparmiano non sono destinati alla “solidarietà”: restano accantonati nel “Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici di importo elevato“. L’obiettivo evidente è dunque solo quello di fare la cresta su trattamenti di quegli stessi pensionati che, durante la vita lavorativa, hanno pagato tutta intera l’imposta sul reddito (IRPEF), e hanno versato fior di contributi, a volte anche oltre a quelli presi in conto ai fini del calcolo della pensione (al di là di quello che dicono i detrattori). Ora sono assoggettati a tassazione superiore al 40%. E, per effetto della “riduzione”, subiranno un ulteriore aumento tra 15% e il 40%. Peraltro, vedremo nel 2020 come sarà calcolata la perequazione (comma 262) sugli importi “ridotti” (comma 261), visto che la base di riferimento sarà l’importo lordo dell’anno precedente (2019). Chi saranno i più colpiti? Una minoranza sociale, poco più di 24mila persone, formata per lo più da persone anziane (85/90anni e oltre; qualcuno ha detto “ i figli della guerra”). Sono questi i “sospettati” di percepire pensioni in tutto o in parte, non guadagnate. E, pertanto, destinatari di invidia sociale.
Le azioni di difesa e l’impegno divulgativo
Contro queste ennesime operazioni sottrattive delle pensioni, non potevano non possiamo anche noi prendere posizione come hanno fatto con molta diligenza Federmanager e Cida.
Al di là delle valutazioni che ognuno può fare sulle perdite economiche subite, più o meno rilevanti, come effetto della nuova perequazione e dalla “riduzione”, ci sia consentito, ancora una volta, fare un appello: solo l’adesione compatta, numerosa, e cosciente alle iniziative che intraprendono le nostre Rappresentanze può assicurare la tutela dei nostri diritti e, soprattutto, la protezione della nostra dignità. Tante volte offesa: maldicenze seriali, senza che da nessun campo della politica si sia levata una voce, una sola voce, per distinguersi; per una presa di distanza, nel timore di perdere consensi, ove mai il “tritacarne” mediatico avesse fatto trapelare il sospetto di “connivenza” coi pensionati “marchiati” come “privilegiati”.
Non è un rimprovero. È solo una constatazione che ora, con le elezioni, diventa ancora piu’ evidente
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